In un momento di iperlegificazione come questo, l'istintiva reazione che precede l'innovazione è il rifiuto e l'abiura.
Ogni nuova legge, ogni nuovo decreto, ogni novità giuridica deve per forza di cose – prima di entrare in vigore – vincere il rifiuto incondizionato e generalizzato del pre-giudizio politico e la barbarie legalizzata dell’informazione a “cappella”.
Anche il d.lvo n. 28 del 4 marzo 2010, ha dovuto – prima di essere metabolizzato dal nostro scetticismo d’appendice – vincere il rifiuto di quanti immaginavano – a torto o a ragione – di essere tornati al tempo della caccia alle streghe o a quello degli oracoli a gettone d’oro.
Anche questo decreto ha dovuto – prima di essere accolto con i dovuti omaggi all’interno di questo istant book – vincere il mio esasperato rifiuto verso ogni forma di perversione ed abuso del sistema giudiziario attualmente esistente.
Tale era la suggestione generata dall’idea di un “mediatore maggiordomo” assunto ad ore, presso la casa della Giustizia e sempre sereno al cospetto degli Dei.
Per assimilare la novità è stato necessario indagare sulla sua “epifania” e andare alla ricerca delle motivazioni che ne hanno permesso “l’accadimento”.
I testi, gli emendamenti e l’attenta lettura delle relazioni parlamentari hanno illuminato un iter normativo tutt’altro che tortuoso, mirato semplicemente a deflazionare il sistema giudiziario italiano rispetto al carico degli arretrati e al rischio di nuovi ritardi.
Di qui la scelta di fornire al lettore un antidoto utile al miglior assorbimento dell’innovazione, di qui la scelta di condividere con i colleghi le fonti giuridiche e normative di una “trasformazione necessaria e non procrastinabile” meno ovvia e fastidiosa, di quanto in realtà non appaia.
È il tempo infungibile del “cives” a fornire una chiave di accesso logica al nuovo impianto normativo.
Quando “la vita del diritto” diventa la posta in gioco della politica è naturale che le coordinate e le dinamiche del sapere giuridico debbano cambiare, lasciando spazio ad esperimenti cognitivi e “compositivi della lite” in grado di garantire l’equilibrio logico, emotivo e strutturale della “democrazia digitale e iterattiva”.
E così come Harrison Ford mi sono avventurato alla “ricerca della fonte perduta” utilizzando il telematico ipertesto per facilitare il compito di quegli interpreti votati ad esaminare e consultare testi e quant’altro utile alla ricostruzione della voluntas legislativa.
È il tempo infungibile della “ius-(ti-t)-ia” a pretendere il cambiamento, per consentire al simulacro dei diritti possibili, di sottrarsi celermente al processo di “svuotamento” e “decomposizione” nel quale, purtroppo, l’obsoleta macchina della “verità”, lo ha condotto attraverso il meccanismo della lite a basso costo ed alto rischio.
In quest’ottica, il contadino di kafkiana memoria, consegnato nuovamente alla potenza della legge fiducioso si inoltra nei meandri del diritto con la serenità di chi sa e crede che “il Tribunale nulla vuole da te. Ti accoglie quando vieni, ti lascia andare quando te ne vai” proprio come nella leggenda “davanti al portone incustodito della legge”.
La Giustizia si fa sovrana allorché si realizza nel suo poter essere e nel suo divenire senza che nulla la abbia preceduta e nulla la abbia determinata.
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